
Cristo e l’Adultera
1577
Il dipinto Cristo e l’adultera, realizzato da Alessandro Allori nel 1577 per la Cappella Cini nella Basilica di Santo Spirito, raffigura uno degli episodi più intensi e umanamente complessi del Vangelo di Giovanni (Gv 8, 1–11). La scena coglie il momento in cui Cristo, di fronte alla donna sorpresa in adulterio, sospende il giudizio e pronuncia le parole destinate a segnare in modo radicale la coscienza cristiana: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».
Allori traduce questo insegnamento attraverso una composizione di grande equilibrio, nella quale il gesto misurato di Cristo e la disposizione ordinata delle figure costruiscono una scena dominata non dalla tensione drammatica, ma dall’autorità morale della misericordia. Cristo occupa il centro della composizione come fulcro visivo e spirituale; davanti a lui l’adultera appare umile e raccolta, ma al tempo stesso vestita con abiti sontuosi, carichi di significato simbolico. Il vestito verde, le stoffe preziose e la collana di perle – il gioiello più costoso dell’epoca – rimandano alle leggi suntuarie vigenti nella Firenze di Cosimo I de’ Medici, secondo le quali simili ornamenti erano consentiti solo alle donne di corte o alle prostitute. L’adultera è così identificata come figura di lussuria, ma al tempo stesso è investita dalla luce del perdono, diventando immagine di redenzione possibile.
Sul fondo si apre la scenografia architettonica del Tempio, che accoglie il gruppo degli scribi e dei farisei, disposti secondo una scansione quasi architettonica, mentre in alto compaiono due figure celesti: un angelo con la spada e un cherubino con la bilancia, attributi della Giustizia divina. Il cielo irrompe così nella scena per sancire che l’atto di Cristo non è negazione della giustizia, ma suo compimento in una forma più alta e perfetta.
La pala fu commissionata da Giovan Battista Cini, letterato, drammaturgo e uomo di cultura, figura eminente della corte medicea e stretto amico dell’Allori. Questo legame personale e intellettuale emerge anche nella predella, dove l’artista raffigura il committente con la famiglia: Cini in abito rosso, la moglie Alessandra Altoviti, le figlie e un sacerdote, con sullo sfondo la villa di campagna Le Rose, presso Tavarnuzze. La predella assume così il valore di ritratto familiare, ma anche di dichiarazione di fede e di appartenenza spirituale.
L’opera nasce nel pieno clima della Controriforma, pochi anni dopo la conclusione del Concilio di Trento (1563), quando l’arte sacra è chiamata a privilegiare immagini di misericordia, redenzione e speranza, piuttosto che la drammatizzazione del peccato. Il Cristo di Allori non è sofferente o morente, ma vivo, forte e luminoso, interprete di una nuova spiritualità post-tridentina che guarda alla conversione interiore più che alla condanna.
Nel corso dei secoli, la cappella passò dalla famiglia Cini ai Dainelli d’Abbagnano, che sostituirono gli stemmi originari con i propri, rappresentati dal cervo, ancora visibile sulla cornice superiore e sul paliotto. Nonostante queste trasformazioni, il dipinto conserva intatta la sua forza: testimonianza artistica, documento storico e riflessione teologica insieme.
Come ha osservato lo storico Giovanni Cipriani, Cristo e l’adultera non è soltanto la rappresentazione di un episodio evangelico, ma uno specchio della Firenze del 1577, un manifesto visivo della giustizia divina e della misericordia umana, filtrato attraverso l’intelligenza e la sensibilità di Alessandro Allori.
